Vi sono momenti in cui l’odio, il vetriolo e la malevolenza non possono più essere contenuti. Devono essere scatenati. Molto spesso, ciò si verifica in conseguenza dell’accensione della furia che si manifesta come una risposta al ferimento che si verifica perché siamo stati criticati. La furia accesa potrebbe, con quelli di noi che hanno soglie più alte di controllo, essere tenuta a bada, specialmente se siamo consapevoli dell’impatto che potrebbe avere sulla facciata. A volte, non possiamo esercitare quel controllo e da noi si scatena una furia accesa o fredda, per cercare di provocare una reazione da te e da altri che attirerà carburante che, a sua volta, sanerà la ferita così la furia nel tempo si smorza.
Poi ci sono le volte in cui c’è bisogno di espandere le ferite, causare dolore, scioccare e infierire.
Non si tratta di un incontrollato e casuale vomito di odio, un derviscio che si scaglia intorno a lui o lei, che attira sguardi di orrore, dolore e fastidio. Una reazione così frenetica è associata alla perdita di controllo che avviene attraverso l’accensione della furia. Questo è un esercizio calcolato per attingere carburante negativo allo scopo di lasciare che questo mondo terribile e infido e i suoi servi traditori sappiano che c’è un odio ardente nel nostro nucleo, uno stato permanente di antipatia maligna e velenosa per tutti intorno a noi. Non abbiamo alcun interesse a indossare una maschera di fascino o magnetismo. Non c’è il desiderio di presentare una facciata in tali occasioni. Il nostro malcontento ribollente e selvaggio deve emergere ed essere impresso come un marchio su tutti coloro che sono abbastanza sfortunati da incrociare il nostro cammino.
Può iniziare in qualsiasi momento della giornata. Può darsi che al risveglio lo sentiamo lì, la contaminazione corrosiva della malevolenza che deve essere lasciata affiorare. Potremmo, nei periodi di minore esperienza, pensare che la fornitura di carburante positivo farebbe diminuire e svanire questa sensazione, ma non è così. Per qualche ragione, qualche ragione oscura e profonda, sarà sufficiente solo carburante negativo. L’ho sperimentato in diverse occasioni. Ora me ne rendo conto. È il desiderio di distruggere, ferire, mutilare e so che fino a quando non avrò bevuto in profondità il carburante negativo che scaturisce da tali azioni, non potrò fermarmi e permettere a questa sensazione di svanire. Posso sentirla dentro di me – non è furia, ma piuttosto un odio viscerale e potente per tutto e tutti. Una sensazione biliare si è radicata nel mio nucleo e devo obbedire. È allineata alla onnipresente fame di carburante, ma solo quello negativo la placherà. È come se un antico torto potesse essere riconciliato solo attraverso l’applicazione di torti ripetuti, come se quel crimine storico dovesse essere ripetuto e replicato nel presente e così facendo, dandogli una tale esposizione e diffusione, viene raggiunta la liberazione.
Qualcosa di malvagio di tanto tempo fa quando deve essergli permesso di manifestarsi ora.
E così è uno dei giorni dei comportamenti malvagi. Il saluto del mattino del vicino viene accolto ordinandogli di “farsi fottere” o invitandolo a tenere d’occhio quella “puttana di sua moglie e i suoi visitatori pomeridiani”. La sua risposta scioccata è vista da una visuale periferica, con le prime gocce di carburante negativo che gocciolano su di me mentre mi dirigo verso la mia macchina e vi entro. L’effetto bozzolo della magnifica macchina non serve per rimuovere la malevolenza. Durante il viaggio verso l’ufficio, quelli che parlano alla radio vengono come d’abitudine criticati per l’idiozia – non possono sentirmi ma non importa – devono sempre essere informati. La finestra si abbassa e lancio un urlo a una coppia di giovani donne che camminano lungo la strada, seguito a ruota dal singolo insulto di “troie” mentre le sorpasso. Il ciclista è messo alla gogna per essere un “ciarlatano in lattice”, la persona che sta aspettando sulle strisce pedonali salta indietro mentre non riesco a resistere dall’indicarle il dito mentre riparto.
Immerso nel traffico lento, cerco di catturare l’attenzione dell’autista dietro o di fronte e provocarlo con gesti delle mani.
“Dai, dai, esci”, sibilo tra me, sperando che esca dalla sua macchina e mi sfidi. Fallo e basta, dammi la provocazione che sto cercando e posso scatenare ancora di più questa malevolenza che sta crescendo in me. Oggi forse vede ciò che balena nei miei occhi cupi e non fa altro che reagire con gesti suoi prima che il traffico si sblocchi e noi ci allontaniamo.
Il barista nel bar chiede il mio ordine e il mio nome con quel suo modo di fare ridicolo. Tutto quello che desidero è il tè, non qualche ostentazione artefatta di un grande ho cho o un caffè ridicolo che viene shakerato, aromatizzato, sciroppato e cosparso. Do il nome di Farquhar e lo dico con un tono che gli dice che se osa, se fottutamente osa chiedermi come si scrive quel nome, prendo alcuni di questi muffin costosissimi nella vetrina e li infilo a forza nella sua bocca sputacchiante, uno per uno. Lui non chiede e il suo soffocamento nel dolce viene evitato.
Naturalmente quando arriva la bibita, vedo Farkwar scarabocchiato a lato con la calligrafia di un bambino di cinque anni. Sollevo la tazza e parlo,
“Mi scusi”, dico freddamente. Il barista si volta e mi guarda. Già l’esitazione lo attanaglia.
“Sì?”, chiede.
“Per caso sei una specie di epsilon semi-deficiente”, dico. Anche se dovrebbe essere una domanda, suona più come una dichiarazione mentre indico lo scarabocchio sulla tazza. Non dice nulla, incerto su cosa dire e su cosa farò.
“È sbagliato? Mi dispiace”, propone.
Sostengo il suo sguardo, il mio oscuro bagliore penetra dentro di lui mentre medito fissando la sua lunga barba. Distoglie lo sguardo da me al pavimento in un paio di secondi. So che tutti gli altri in questo negozio mi stanno guardando. Bene.
Scuoto la testa.
“Avresti dovuto impegnarti di più a scuola, cazzo di quarto di dollaro”, annuncio e mi giro, spingendomi oltre quelli dietro di me. Non ci sono proteste.
E va avanti così. Alla receptionist viene detto che appare sciatta quando entro in ufficio. Al subalterno dell’ufficio viene ringhiato di togliersi di mezzo. Trovo colpe in tutto ciò che fanno quelli che lavorano per me. Faccio piangere un associato annichilito mentre lo sottopongo a una predica di cinque minuti sulle inadeguatezze del suo resoconto, e lo bandisco dalla mia stanza come se lo esiliassi dal mio regno. È la terza persona che è entrata nel mio ufficio ed è stata sottoposta alla mia malevolenza e non siamo neanche a metà mattina.
La mia segretaria sporge la testa dalla porta.
“Va tutto bene?”, chiede.
Mi fermo e alzo lo sguardo dal mio computer e sfodero il fascino del sorriso.
“Assolutamente fantastico. Non potrebbe andare meglio. Prima classe. Punta in alto. Superbo”. Confermo mentre snocciolo una serie di sinonimi per dire che va tutto bene. I più verranno marchiati con la mia malevolenza oggi, ma non lei. Lei è un fedele Luogotenente e questa volta è esente, inoltre, quale modo migliore per incasinare davvero le menti di quelli che sono sotto di me è far dire alla mia segretaria,
“Con me era gentile”, se tornano strisciando cercando di scoprire cosa c’è che non va.
Le e-mail ricevono risposte brusche. Coloro che telefonano sono sottoposti a una feroce analisi della loro proposta che li lascia senza parole. Le istruzioni vengono sbraitate, le ingiunzioni emesse e gli idioti fatti a pezzi. La malvagità rimane, alimentando i comportamenti sgradevoli e spiacevoli ma senza mai sfuggire al controllo. È come se questa malevolenza si rendesse conto di fare qualcosa di buono a mantenere un po’ di disciplina, per far sapere alle persone che devono guadagnarsi la mia grazia e il mio favore, che dovrebbero stare in allerta, attenti e consapevoli che la loro posizione elevata può essere rimossa in un istante. In pochi sfidano, i più si fermano inorriditi, allarmati e feriti. Quelli che reagiscono, vengono poi sottoposti a una malevolenza feroce e vengono intimiditi fino a quando non si allontanano, bofonchiando e continuando a lanciare insulti. Non importa, è tutto carburante negativo.
In un altro luogo questa malevolenza si sarebbe manifestata con la messa in atto della violenza fisica. I pugni e i calci tirati a quelle intrattabili statue di cera quale componente della comprensione che questo è ciò che accade in una tale arena. In un altro luogo ancora, questa malevolenza emergerebbe attraverso la crudeltà e l’umiliazione di quello che mi si suppone più vicino nell’ambiente più intimo. In un altro luogo, questa malevolenza apparirebbe come l’episodio della palla da demolizione, che non lascia nulla in piedi.
Ma oggi accade in questo luogo e questo implica che l’abuso verbale, gli insulti, il linguaggio selvaggio, gli sguardi minacciosi e le risposte acide sono i modi appropriati in cui la malevolenza si fa sentire e trae il carburante negativo.
Alcuni dei destinatari sono estranei e le nostre strade non si incroceranno più. Altri possono trattarmi con diffidenza fino a quando non compare il solito fascino e vengono messi a loro agio. I più sanno che è meglio farlo apparire in un altro giorno quando è terminata l’accensione della furia. Occasionalmente ci sono quelli che continueranno. Una richiesta di scuse, un risentimento espresso attraverso canali formali e persino una denuncia alle autorità. In quei rari casi la questione viene affrontata con il ripristino della persuasione e del magnetismo. Viene offerta una ricompensa per evitare il problema, il fascino annulla la sfida oppure viene fornita una scusa apparentemente sentita dal cuore. Sono, dopotutto, solo parole e, naturalmente, il sollievo, il piacere e la gratitudine manifestati dall’altra persona è tutto carburante positivo, accolto come opzione alternativa. Non c’è nessuno che sia stato destinatario della malvagità che non possa essere rimesso in riga ancora una volta. Tutte le persone hanno un prezzo.
Quando questa malevolenza compare in questa forma, il radicato e antico diritto che esercita il suo bisogno di essere trasmesso, dopo un giorno di commenti caustici, raffiche violente e sorrisi sarcastici, con il carburante negativo ingoiato, torno in me e c’è un beneficiario di tutto questo vetriolo. Avendo permesso alla malevolenza di essersi fatta conoscere, di averla lasciata sgranchirsi le gambe e flettere i muscoli, si ritira, per ora e mentre arrivo a casa tua o torno alla nostra, per una volta ricevi il lato positivo di questo contrasto. Anche se tu, come fonte primaria, stessi subendo la svalutazione, ti verrà concessa una tregua improvvisa e la risurrezione del periodo d’oro. La tua sorpresa e gioia per il suo ritorno produce il carburante positivo in quantità significative che si riversa su di me, sostituendo la malevolenza ormai ritirata. Il tuo carburante positivo è ora richiesto e quindi la svalutazione viene interrotta perché sei considerato un santuario di gioia rispetto a quelli che mi hanno infastidito, irritato e si sono incrociati con me durante il giorno. Potrebbe non durare a lungo, ma almeno per oggi, è stato dato sfogo alla malevolenza e ora tu ricevi i benefici della sua applicazione sostenuta.
Anche quando sono malevolo, sono bravo.
Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR