Mi è stato chiesto da Andrea se si può esistere senza dolore o gioia.
La domanda presuppone che io sia senza dolore o gioia e quindi posso esistere? Il punto di partenza deve essere quindi: sento il dolore? Sento la gioia? Mi occuperò prima di quest’ultima. La gioia è definita come “un sentimento di grande piacere e felicità”. Ora, provo piacere. Lo so. Felicità? Ho dovuto pensarci e sono giunto alla conclusione che la felicità è una versione più leggera, una sensazione un po’ soffice e amorfa di ciò che sento veramente. Sento il potere e l’euforia. La felicità è più bassa sulla scala. Non sento la felicità. Salto da uno stato neutro dritto a sentirmi potente, pieno di me ed euforico. Poiché non provo felicità e vedo che la felicità è considerata parte integrante della gioia, posso solo concludere che non provo gioia.
E il dolore? Ovviamente conosciamo due tipi di dolore. Fisico ed emotivo. Se mi colpisco il pollice con un martello, mi fa male, quindi questo è confermato. Per quanto riguarda il dolore emotivo, beh, sì, lo sento anche io. In effetti lo sento più di te. Il dolore che provo è viscerale, straziante e angosciante. Mi brucia ed è molto debilitante. Tale è la sua intensità che sono costretto a prendere provvedimenti immediati per porre rimedio al dolore che provo. L’agonia che sopporto è totale e vasta. Il mio mondo collassa su se stesso, io sono rimpicciolito, avvizzito e ferito. Questo stato è causato dalle tue critiche inutili su di me o dal tuo mancato coinvolgimento con me. Devo agire prontamente e con ogni risorsa che posso raccogliere per superare questo dolore e farlo finire. È un’impresa sovrumana, ma a forza di rabbia o di evasione la porto a termine.
Così io provo dolore. Ogni singolo giorno. Immagina di dover affrontare questo.
Se l’ipotesi originale è che uno non esiste se non si sperimenta dolore o gioia, allora dato che provo dolore allora si può solo concludere che io esisto. Ma sapevi benissimo che esistevo vero? Il danno e le prescrizioni lo confermano.
Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR