LA PREMUROSA II

Quelli di voi che sono tra i miei lettori storici o quelli che si sono divorati tutti i miei scritti si ricorderanno di Karen. Karen era la mia ex ragazza che ho messo alla prova sin dall’inizio. Le è piaciuta la sfida che le ho messo davanti. All’inizio, l’ho incantata nel solito modo, ma non ho dato il meglio di me con le mie armi di seduzione di massa. Ho appurato che l’avrei attirata molto più facilmente con l’adozione di un comportamento sfidante. Questo comportamento non l’ha sminuita o svilita (quello, come sempre, viene dopo). No, al contrario questo comportamento era progettato perché lei facesse il possibile per compiacermi. Uno dei modi particolari con cui lo mettevo in atto era facendo appello all’infermiera che era dentro di lei.

Karen non era un’infermiera qualificata, anche se qualora avesse optato per una tale vocazione, sarebbe stata molto adatta a lei, ma era un’esperta nel prendersi cura degli altri e asciugare le fronti febbricitanti. Io usai questa cosa a mio vantaggio giocando ripetutamente la carta della malattia.
Non l’ho mai fatto con nessun altra perché generalmente mi piace mantenere l’impressione di essere in forma e in salute, ma con lei sapevo che avrebbe fatto presa, ed era un altro metodo di lanciare una sfida. Fingevo di avere dolori allo stomaco, un mal di gola, un mal di schiena, dolori lancinanti ai piedi, mal di testa, visione offuscata e cose del genere. Se non volevo che Karen uscisse tutto quello che dovevo fare era chiamarla e fare gemiti al telefono e lei accorreva e si buttava nella sua esercitazione di infermiera.
Mi misurava la febbre, controllava delicatamente l’area interessata con le dita, scrutava nella mia bocca, mettendo la sua mano contro la mia fronte e così via per ogni malanno che mi ero inventato. Mi stendevo sul letto gemendo e lamentandomi e le chiedevo di restare a prendersi cura di me. Lo faceva sempre. Si sedeva sulla sedia in camera da letto e mi sorvegliava, facendo la spola avanti e indietro con il cibo (se naturalmente mi sentivo di mangiare) bevande calde, bevande fredde, bevande medicamentose e qualsiasi altra cosa potessi pensare per farla correre dietro a me. Emetteva suoni rilassanti, massaggiava dove faceva male e baciava tutto per bene. Godeva ad avere questo ruolo e, naturalmente, il giorno dopo io ero completamente guarito e in grado di andare a giocare a golf nonostante lei mi consigliasse di non farlo.

“Sciocchezze”, rispondevo mentre lei mi esortava a stare a letto, “l’aria fresca mi farà bene. Era una di quelle cose che durano 24 ore no? Non puoi rinchiudermi a lungo, non con te che ti prendi cura di me”.

Lei mi sorrideva e mi abbracciava, deliziata dal fatto che riconoscessi che si prendeva cura di me.

A Karen piaceva sciare. Era una vera appassionata di sci e notevolmente entusiasta. Io meno. Non riesco davvero a capirlo. Scendi una volta giù per un pendio e quando ci sei l’hai fatto. Perché andare sempre su e giù? Perché continuare a ripetere più volte la stessa cosa? Non ha senso per me. Aveva prenotato una vacanza sciistica per entrambi a Val Thorens e avevamo un incredibile chalet (che ovviamente significava donna di servizio dello chalet) che ci aspettava. Man mano che la vacanza si avvicinava, io facevo ripetuti commenti su come il mio ginocchio destro mi stesse dando problemi. Mi ero infortunato giocando a calcio quando ero più giovane e le frequenti partite da allora in poi avevano fatto il resto, così ogni tanto indossavo un tutore durante il gioco, ma nulla mi avrebbe impedito di giocare al mio sport preferito. Naturalmente feci riferimento all’infortunio dicendo che mi causava notevole dolore e preoccupazione dato che la data della partenza si avvicinava.

“Vuoi che non andiamo?”, chiese Karen.

“Oh no, non vorrei rovinare la vacanza. Sono sicuro che starò bene”, risposi.

“Beh, solo se sei sicuro”.

Partimmo e una volta lì spiegai che il ginocchio mi stava dando davvero problemi e avevo deciso che non avrei corso il rischio che la sua condizione peggiorasse sciando. Gli amici con cui siamo andati furono opportunamente comprensivi.

“Ma vi prego non fermatevi per me, andate avanti, starò bene, Karen si prenderà cura di me”, annunciai mostrando quanto ero cavaliere.

“Starò a leggere lì fuori dal bar più vicino e ammirerò il panorama con Karen”.

Guardai Karen. Fece per dire qualcosa ma non disse nulla e fece un piccolo cenno del capo. Così Karen una volta tanto non sciò in quella vacanza, ma stette seduta con me fuori dal Bar Hibou e leggemmo, parlammo e bevemmo birra finché i nostri amici non tornarono dal loro pomeriggio in pista. Se anche aveva qualche lamentela, non la esprimeva mai, ma continuava ad assicurarsi che io venissi accudito. Camminava lentamente al mio fianco per assicurarsi che non scivolassi mentre andavamo a piedi dallo chalet al bar. Mi metteva su una poltrona e poi mi permetteva di rimanere lì tutto il giorno, col sole che mi avvolgeva la faccia e con a disposizione qualunque cosa di cui avessi bisogno. Ancora una volta dimostrò di essere all’altezza del compito e aveva prontamente messo i miei bisogni ben avanti ai suoi. Si prese cura molto bene di me. Ma io non posso dire di aver fatto lo stesso per lei.

Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR