UNA LETTERA AL NARCISISTA – N. 52

Caro ***,

Ero così sollevata di uscire dalla sesta ora quando ero alle medie. Un amico della mia famiglia mi ha aveva trovato un lavoro dopo scuola presso il tuo studio legale. Non mi importava cosa facessi, volevo solo lasciare presto la scuola. Non mi sono mai sentita adatta là. Vedevo altre ragazze avere fidanzati e relazioni di cui io ero terrorizzata. Sapevi, vedendomi, che stavo cercando qualcosa che avevo perso da bambina.

Quando ti ho incontrato il mio primo giorno di lavoro, sapevi che ero colpita dalla tua magnificenza, dalla tua passione, dal tuo pericolo. Potevi sentirlo. L’energia che fluiva da me a te era elettrica. Tutti potevano sentirla.

Eri gentile, generoso, umile e bello. Mi guardavi come se fossi la creatura più bella che avessi mai visto. Non mi importava che tu avessi 18 anni più di me … per qualche ragione mi ha reso ancora più attratta da te ma non avevo idea del perché. I curiosi mi vedevano come l’adolescente che ero in realtà e pensavano che fosse una dolorosa, adorabile cotta. Tu hai visto un’opportunità.

Ci è voluto del tempo, ma tu eri paziente quanto l’ISIS. Mi hai sempre detto quanto fossi bella, intelligente e compassionevole sapendo quanto avevo sete di sentire quelle parole. Conoscevi il gioco finale e avresti aspettato tutto il tempo necessario. Ogni giorno quando venivo nel tuo ufficio iniettavi un po’ di veleno in me. Era così lento che nessuno, inclusa me stessa, avrebbe mai notato che mi ammalavo sempre di più. Non sapevo che anni fa da bambina ero già stata infettata da un altro come te. Non sapevo che la mia infezione giaceva dormiente solo per essere risvegliata da un altro della tua specie. Sapevo solo che desideravo disperatamente che tu scegliessi me.

I giorni passavano e la mia infezione peggiorava. Il veleno si accumulava nel mio corpo fino a quando non fui completamente infetta. Mi chiedesti di restare al lavoro una sera per aiutarti. Ero così lusingata che mi avevi chiesto di lavorare al tuo fianco. Che onore. Era così? Mi avevi scelto davvero?

Tremavo quella sera prima che tu mi prendessi. Sì, ti desideravo fisicamente. Sì, ho flirtato con te senza pietà. Sì, volevo che mi cercassi e mi scegliessi. Tutti quei desideri sono caduti nel momento in cui mi hai inserito. Avevo paura ma allo stesso tempo mi sentivo scelta. Avevi lanciato il dado che non avrebbe potuto mai essere rimosso.

Lasciai il mio lavoro pensando che ti stessi preparando a lasciare la tua (come dicevi tu) orrenda, pazza e frigida moglie, per venire da me. La realtà è che ero stata messa su uno scaffale molto alto. Ero a mio agio sullo scaffale ma, ciononostante, non avevo idea del perché. Non è che non mi abbia ferito o che non mi sentissi maltrattata, ma era così familiare. Come tornare a casa.

Gli anni passavano e tu mi prendevi dallo scaffale ogni mese per assicurarmi che ero la prescelta. Che io ero quella che amavi. Mi supplicavi di aspettarti ancora un po’, pur sapendo per tutto il tempo che non sarei mai andata da nessuna parte. Ancora un po’ di tempo e tu saresti mio. Non sapevo perché effettivamente mi sentivo più sicura a stare sullo scaffale. Non sapevo che tu fossi una rievocazione di qualcuno che avevo già conosciuto. Ma tu sì. Tu lo sapevi.

Mi ci sono voluti decenni per imparare veramente chi sei anche se sono tornata da te più e più volte per tutta la vita. Tu sei mio padre. Incarni l’abuso, l’abbandono e il posto più pericoloso in cui potrei mai stare. Ancora oggi lotto con quella realtà.

Volevo che tu fossi il padre che alla fine avrebbe scelto me. Che mi amasse. Che mi volesse. Tu non lo sei e nemmeno lui lo era.

Nessuno di voi potrà mai essere quello per me.
Ho ancora l’infezione. Mi aspetta costantemente e cerca disperatamente di riemergere. Sto migliorando ora perché so che la malattia è lì. Il recupero è lento e doloroso. Ho l’aiuto di una persona che conosce la tua specie e quello che sei, tuttavia è dotato della duplicità di accettare ciò che lui è e usarlo per sempre in una parte della sua vita.

Addio, padre.

Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR