UNA LETTERA AL NARCISISTA N. 30

Ciao mio vecchio amico

Non c’è bisogno di inginocchiarsi o spogliarsi, la ferita oggi sarà di tipo diverso. Sei eccitato? Io so che non vedo l’ora.

Ti avrei chiesto come stavi ma poi avrei dovuto sopportare uno dei tuoi insipidi monologhi su quanto tu sei importante e stanco di avere tutto il mondo addosso. Dio sei davvero noioso. Pensavo che non sarei mai stata in grado di ritrovare i bulbi oculari nella mia testa dopo un’altra delle tue diatribe. Sai che le persone che sorridono, ascoltano e ti baciano il culo come tu fai con me, lo fanno per ottenere quello che vogliono e sono pagate per farlo? Beh, tu non hai nulla di meritevole da offrirmi, quindi non ho questo obbligo. Ti ho detto quello che volevi sentire e non c’era molta verità in tutto ciò, proprio come tu hai fatto con me.

Certo che non sono giusta. Potresti scegliere di iniziare a parlare del tuo secondo argomento preferito: le tue palle. Il tuo fascino per esse ti paralizza la mente. Non sono che due sacche mosce di semi scaduti che un ragazzo non può produrre e non sono utili a nessuno. Il seme è intrappolato lì per l’eternità a causa della tua incapacità di dare la vita alterando le erezioni che mi erano state promesse all’inizio e che sapevi che non avresti mai potuto mantenere. Non che io fossi veramente interessata. Volevo scavare nella tua mente, solo per essere delusa dal buco vuoto che corrisponde a quello in cui dovrebbe trovarsi la tua anima. Oh, e le foto delle lesioni ad esse che mi hai mandato? Sappiamo entrambi che non è il mio lavoro, ma ti prego di fare i miei complimenti a chi le ha causate.

È stato meraviglioso all’inizio non è vero? Ti ho confermato che eri bello, intelligente e divino proprio come tu credi di essere. Amavo riempirti del potere che ti permetteva di fare le cose difficili che tu devi fare per mantenere la facciata perché dava vantaggi ad altre, e teneva a bada quelli che bramavano la tua posizione. Ti avevo avvertito però di non diventare cattivo, per ottenere quello dalle altre. Era così divertente e del tutto superfluo quando hai giurato sulla tua patetica esistenza che non c’erano altre. Non mi è mai importato.

Chi lo sapeva, quando inevitabilmente l’hai fatto, che mi sarei armata sgobbando attraverso tutte quelle pagine di un’antica Inchiesta per trovare quei noccioli di vergogna che credevi sepolti da tempo. Deve aver punto come quel commento denigratorio sulla tua fisicità (mano alla gola simulando orrore) fatto in un libro che citava i tuoi riconoscimenti. Come ho riso dentro mentre tu cercavi di ricomporti ed esigevi di sapere come ero venuta a conoscenza di queste cose. Non puoi dire che non ti avevo avvertito.

Oh, e continuerò a rifiutare la tua offerta di incontrarci e “lasciare il mio marchio” su di te. Sappiamo entrambi che questa è una trappola in cui non cadrò perché io non sono “Quella Giusta” come mi hai chiamato, ma la perfida puttana che sono davvero. Ma tu continuerai a provare – la tua malattia lo richiede.

N.A

Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR