UNA LETTERA AL NARCISISTA N. 126

Avevo 12 anni, tu eri il mio insegnante. Ero incuriosita e attratta per come guardavi il mondo con eterno disprezzo nei tuoi occhi. Per come trattavi gli altri studenti, per come eri sempre imbronciato, lunatico. Ma non me, mi hai reso la tua preferita, non ho idea del perché. All’inizio non mi piaceva, mi faceva sentire a disagio e imbarazzata. Ma ero anche molto infelice e iniziai ad apprezzare l’attenzione. Continuavi a dire che mi avresti aiutato, che avrei dovuto venire a vivere con te e tua moglie, che volevi sapere tutto – tutto! – ciò che stava succedendo nella mia testa.

Fino a quando qualcosa non è cambiato. Non so cosa o perché, ma è stato nel momento in cui tua moglie ti ha lasciato. All’improvviso non ero più speciale nello stesso senso. Ora ero speciale nel senso opposto: sembravi odiarmi così tanto. Ancora una volta mi sentivo speciale, sembrava non esserci nessuno che odiavi tanto quanto me. Sembravi prendere in giro te stesso, con il tuo rifiuto di parlare con me, di guardarmi. Era ridicolo ma anche intrigante. Sono stata attratta da te ancora di più, cosa ti ho fatto di tanto male? Come potevi odiarmi anche più di quanto odiavi già tutti gli altri? Era un enigma che non riuscivo a risolvere.

Ho lasciato la scuola. Altre cose sono successe nella mia vita. Ma riuscivo solo a sentirmi attratta dalle figure d’insegnante. Non so come mi sia venuto, ma ti ho contattato, perché avevo bisogno di sapere cosa era successo e volevo liberarmi di te. Non pensavo che sarebbe stato un grosso problema, sembrava la cosa ragionevole da fare.

Ora, a questo punto mi sto arrabbiando. Tu con il tuo “Ho una ragazza ma sto per lasciarla”, probabilmente ero anche un po’ ingenua. Tu con il “Mi viene diagnosticato un Disturbo Narcisistico di Personalità, nessuno mi capisce, è così difficile essere me”. Ora capisco che questo era un gioco di pietà, di sicuro mi ha portato a fare del mio meglio per dimostrarti quanto sei speciale.

Mi sono persa. È ancora difficile capire come ciò accada. Ho chiuso più volte con te fino a quando non ho smesso di provare. Ma poi mi sono ammalata, molto seriamente. Ho perso la mia bellezza, la mia libidine, e anche il mio lavoro. Non potevo ancora lasciar perdere. Anche se tutto ciò che ho sentito da parte tua era un messaggio, ogni tot di mesi, “Volevo controllare che non fossi ancora morta”. No non ancora, sono ancora qui. Fino a quando sembrava che stessi per morire, ero in un letto d’ospedale e ho pensato tra me: “È finita, non mi dispiace morire, non c’è più nulla di praticabile per me”. Ma non sono morta, per miracolo. Quando sono tornata a casa due mesi dopo sono entrata in casa mia e ho pensato tra me: “Non entrerai mai più da questa porta”.

E non l’hai fatto.

Ho parole finali? Non ha senso, ogni volta che ti dicevo quanto male mi facessero le tue azioni, hai sempre risposto: “Lo so”, con quello stupido sorriso sul tuo viso. C’è una cosa che posso dire, anche se è davvero indegno di me dirlo. Ma solo per quest’ultima volta, mi abbasserò di nuovo al tuo livello di costante fallimento: non mi hai mai fatto venire, nemmeno una volta. Ti ho dato ogni pezzo del mio corpo da usare, ho soddisfatto tutti i tuoi desideri non importa quanto mi sia costato, ma non ho dato me stessa. E, sì, mi sono assicurata che lo sapessi. Ora, lo vedi quel sorriso sul mio viso?

Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR