UNA LETTERA AL NARCISISTA – N. 117

Carissimo Pedro

Ti scrivo dalla più alta delle altezze e dalla più grande delle visuali. Sono in punta di piedi, le braccia distese. Sono coraggiosa. Sono stoica. La più pesante delle mantelle mi copre le spalle; il suo cappuccio mi riscalda l’anima. Questa mantella pesante una volta mi confortava con tutto il suo calore e mi prometteva qualcosa di straordinario. Ora è in rovina, a brandelli e inutile. È pietosa e devo lasciarla al suo nuovo proprietario. È la benvenuta per lei, non è certo necessaria dove sto andando. Mi causerebbe così tanto imbarazzo se la portassi con me.

Ti ricordi quel pensiero casuale e fugace del Pronto Soccorso che avevo condiviso con te, una mattina presto. Sono stata io a soffiare aria nei tuoi polmoni o sei stato tu a riempire i miei? pensai per metà addormentata, per metà sveglia. “Finché morte non ci separi, hai sussurrato. ‘Finché morte non ci separi”. Queste parole volevo sentire da te e solo da te. Ero ignara di questa cosa che tu chiami amore. Ti ho spudoratamente creduto e sì, ti ho amato nella tua interezza. Ti ho amato come amano le persone normali e sane. Mi hai mostrato un altro lato dell’amore; uno che non avevo mai visto prima e spero di non vederlo mai più.

Ero stata in questo stesso posto prima; ma questa volta è diverso. Vedi, ho scoperto uno strato di te che mi hai nascosto tutto il tempo, non dovevo vederlo, vero? Questo strato, a differenza di tutti gli altri, era il più scuro, il più fangoso e il suo scopo era di avvertirmi della scomparsa di ciò che una volta eravamo noi. Ho scoperto le tue verità e tu sembri ferito, sei un codardo e un truffatore. Non hai un senso e mi sembri strano. In effetti, mi disgusti. DISGUSTO è la parola giusta che stavo cercando. Parli delle tue ragazze come se io dovessi essere gelosa – che tipo di stupida pensi che io sia? Non ho mai invidiato nessuna ragazza che potesse avere un mio ex. Se fossi stato degno del mio tempo, sarei rimasta. Avrei rischiato tutto.

Nulla resta dell’uomo che un tempo amavo. Al tuo posto c’è un uomo e sogni che ora disprezzo e preferirei veder morire. Scommetto che ne hai scarsa conoscenza e hai cancellato i ricordi.

Ti ho reso il tuo regalo, che so che hai buttato giù dal molo della città. “Cosa c’è che non va?”, Hai chiesto. “È da dove viene”, mi hai stupidamente spiegato. Da quel momento, per me era ovvio, non ti importava affatto di me. Volevi farmi del male, farmi davvero del male. Il tuo dono non valeva le tirate inarrestabili; le minacce. Non significa niente per me. Un semplice promemoria del tuo ego gonfiato che hai sfoggiato alla commessa e allo stesso modo per il suo carburante – e ovviamente per il mio.

Mentre salgo sul palco a sinistra, non posso fare a meno di notare una forma di qualcosa di lucido e nuovo nascosto dietro le tende. Certo, sapevo che lei era lì, devi ricordare che una volta c’ero anch’io al suo posto. Non ho bisogno di restare a vedere questo spettacolo. So esattamente come finisce.

Non mi scuso per aver detto questo: sì, il tuo vero valore non è altro che quello della maglia sportiva sporca e sgualcita, che indossavi con imbarazzo a scuola come un bambino giovane e trascurato. Io non posso cambiare il tuo passato e non posso cambiare te.

Non oso guardarmi alle spalle perché non oso svegliarti. Non questa volta. Non così presto. Ti saluto e spero che non ci incontreremo mai più. Voglio dire, MAI in questa vita. Oggi ti abbandono senza rimpianti o rimorsi.

Adios, a mai più rivederci e vaffanculo.

Nina.

Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR