UNA LETTERA AL NARCISISTA – N. 103

Caro papà,
Mentre ripenso ai ricordo della mia infanzia, i suoni e le immagini non sono quelli di una tipica casa o dell’infanzia.
Tu eri una bestia intimidatoria, ad un’altezza di un metro e 90, eri puri muscoli e pesavi circa 130 kili. Avevi i capelli biondo platino e gli occhi blu cristallini. Quegli occhi facevano svenire le donne e facevano rabbrividire me dalla paura.
Quando sei entrato nella nostra vita eravamo state cacciate da un gruppo di motociclisti con cui si era invischiata la mamma. Avevamo dei contratti in testa. Sono stata sollevata di riavere un letto, dopo aver dormito tante notti in macchina, e spostarci da un posto all’altro guardandoci sempre le spalle.
Ti siamo state entrambe grate. Hai fatto il love-bombing a entrambe nei primi mesi. Pensavo che tu potessi fare qualsiasi cosa. Eri il mio eroe. Ricordo che ero seduta sulle tue gambe e ti chiesi: “Vuoi essere mio padre?”, Tu sorridesti in modo convincente e dicesti “Non c’è niente che mi renderebbe più felice”. Ti avvolsi le mie piccole braccia attorno al collo, felice di aver trovato la mia famiglia per tutta la vita e la mia felicità per sempre.
Fino a quando un giorno tu hai infranto quel sogno. Mi era stato ordinato di comperarti le sigarette al comodo negozio a 3 isolati da casa nostra. Avevo cinque anni. Non mi allontanavo dal sentiero, ma camminavo lentamente mormorando e cantando tra me felice e contenta nel mio mondo.
Quando ho aperto la porta di casa al tuo ritorno, mi hai afferrato per i capelli e mi ha trascinato nella mia camera da letto. Mi hai ordinato di chinarmi sul letto. L’ho fatto mentre piangevo e chiedevo: “Che cosa ho fatto papà?”
Mi hai colpito con quella cintura, Dio, mi hai colpito così tante volte. Non mi hai sculacciato. Mi hai battuto dalla testa ai piedi. Il pestaggio era così grave, il mio corpicino ha perso il controllo e mi sono fatta la pipì addosso. Quando hai finito hai detto, “tua madre si è fatta male e io stavo aspettando perché tu eri fuori fottiti!” Ti sei voltato e sei uscito dalla stanza per andare a prendere mia madre.
Mi sono alzata lentamente da terra dove ero collassata e tu mi avevi lasciato fradicia di sangue e pipì. Con cautela mi sono diretta verso il bagno e mi sono tolta i vestiti dal mio corpicino ferito. Sono rimasta scioccata quando ho visto quello che avevi fatto. Avevo ferite aperte dappertutto. Avevo lividi profondi ancora più inquietanti che si poteva vedere chiaramente il sangue che scorreva sotto la pelle. Un ematoma, credo sia la definizione, ma la parola non gli dà abbastanza peso quando si vede con gli occhi della mente.
Piansi piano mentre mi lavavo delicatamente il corpo togliendo il sangue e la pipì. Mi vestii lentamente quando sentii la porta d’ingresso e mia madre che parlava con te. Mi chiamò come faceva ogni giorno desiderando salutarmi.
Uscii dal bagno camminando rigidamente in modo che i miei vestiti non si fregassero sulle ferite. La mamma mi guardò con una smorfia confusa. “Cosa c’è che non va piccola?”
Ti diedi un’occhiata. Tu non mi guardavi, ma sapevo istintivamente che era meglio non tirar fuori te adesso.
“Niente mamma.” Dissi guardando di nuovo mia madre.
“Mi dispiace che tu abbia dovuto aspettarmi mentre ero al negozio”
La mamma mi diede un colpetto sulla testa e sorrise, “non è colpa tua, piccola. Non potevi certo sapere che mi ero fatta male. “
Più tardi quella sera, quando riuscii a stare un momento da sola con mia madre, le mostrai le mie ferite. Lei rimase a bocca aperta, meditò per un momento, e disse: “Beh piccola, avresti dovuto essere più veloce.”
In quel momento appresi che non mi avrebbe mai aiutato. Ora so che è perché tu le hai distorto la mente con il tuo pensare da narcisista. Molto tempo prima l’avevi avvelenata contro di me. Le avevi detto che inventavo le cose, e che dicevo che avevano abusato di me per avere attenzione. Hai indicato in televisione i bambinie le notizie come esempi e l’hai messa in guardia di cosa sarei diventata senza un’adeguata disciplina.
Andando avanti non hai mai più indossato la maschera per me. Non ho mai più visto la tua gentilezza. La regola era che, se avessi dovuto essere vista, allora non avrei dovuto essere ascoltata. Hai preferito che non venissi vista o semplicemente che non esistessi. I pestaggi erano un’abitudine al punto che pensavo di ucciderti nel sonno per farli cessare. Per fortuna, qualcosa di buono dentro di me è rimasto intoccato da te.
Io, nella tua mente, ero un’estensione di te. Pertanto, dovevo essere perfetta. Mi alzavo ogni giorno per subire un processo di 3 ore per prepararmi alla giornata. I miei capelli, trucco e vestiti dovevano essere perfetti. Qualsiasi cosa fuori posto veniva punita rapidamente.
I miei voti dovevano essere A e niente di meno. Se avessi ricevuto un B, avrei ricevuto un avvertimento e in punizione fino all’emissione della successiva pagella. Se avessi ricevuto un C, un pestaggio e una punizione. La punizione comportava che io stessi nella mia stanza senza televisione, radio o telefono. Potevo leggere. Questa era l’unica attività accettabile. Mi era permesso di uscire dalla mia stanza per mangiare e andare a scuola.
In qualunque cosa gareggiassi, dovevo essere al 1 ° posto. Altrimenti non eri in grado di vantarti e mostrare quanto eri superiore ai tuoi amici. Il secondo posto è stato punito severamente. Ricordo che i miei allenatori nelle mie attività erano molto confusi dalla mia reazione a un posizionamento inferiore. Non potevo dirlo. Non potevo dire a nessuno cosa stava succedendo. Mi avevi messo in chiaro che se l’avessi fatto, mi avresti ucciso. Credo che avresti potuto farlo.
Mi avevi fatto credere che stessi solo cercando attenzione se avessi provato a dire qualcosa a mia madre. Mi avevi fatto credere di essere pigra, inutile, senza valore e stupida.
Hai iniziato a farmi avances all’età di 15 anni. A quei tempi bevevi molto. Io alzavo i pugni per combattere, e mi sembra di non aver mai smesso di combattere da allora.
Hai smesso di infastidirmi molto una volta che ho iniziato a reagire. Mi picchiavi ogni volta, ma ero diventata più una seccatura che altro. A quel tempo, ero una giovane donna arrabbiata. Mi scagliavo su tutti e tutto ciò che potevo. Entrare in risse era comune. Avevo paura. Mi piaceva quella sensazione e mi spaventava. Mi piaceva quella sensazione perché tu controllavi ogni parte della mia vita, ma non questa. Potevo controllare attraverso la paura proprio come tu facevi con me. Rischiavo di diventare te
Un giorno attaccai una ragazza per una voce che aveva messo in giro su di me. Persi la testa. Ci vidi rosso. Ricordo i suoni che emetteva mentre le arrivavano i miei pugni. Lei non reagiva. Ricordo i suoi occhi che mi guardavano terrorizzati e le sue mani sollevate per respingermi e i grugniti di dolore mentre io sferravo i colpi. Il mio ragazzo mi strappò via da lei. Mi sedetti e piansi per ore. Giurai di non farlo mai più. Mi rifiuto di essere te!
Non l’ho mai più fatto. Tu non hai vinto. Io non sono te. Io non cerco di intimidire, non faccio del male alle persone senza motivo, non cerco di far stare male le persone con se stesse. Amo con un cuore che ha una capacità che non può essere misurata. Dono liberamente e generosamente da quell’amore. Sono nota per la mia tenerezza ed empatia. Credo nella lotta per il debole, il vecchio, l’ammalato, il distrutto e il cagnolino. La sola volta che alzo i pugni oggi, è solo per quelle ragioni. I miei figli, non hanno mai conosciuto la sferza della cintura una volta in vita loro, e grazie a dio non la conosceranno mai. Tu non hai mai avuto modo di modellare le persone che sarebbero diventate e di far loro del male in qualsiasi modo. Me ne sono assicurata.
Sei morto da solo. Cos’altro si dovrebbe dire nel tuo necrologio?
Possa Dio avere misericordia di te.

Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR