Ti ricordi ancora la prima volta in cui ci siamo tenuti per mano? Io sì. Non lo dimenticherò mai. Stavamo camminando lungo il fiume. Ti avevo visto camminare lì in numerose occasioni in precedenza. Ti sorpassavo e ti vedevo camminare, completamente persa nel tuo mondo. Mi appoggiavo ad un albero vicino a guardarti mentre stavi sulla riva a guardare il fiume che scorreva.
Fissavo la parte posteriore della tua testa mentre mi concentravo sul capire cosa stavi pensando. Ogni tanto tiravi fuori il telefono e scattavi foto del fiume prima di stare di nuovo in silenziosa contemplazione. Indossavi abiti semplici e adatti per queste frequenti passeggiate all’aperto. La tua unica concessione all’eleganza era la sciarpa scarlatta che tenevi attorno al collo. Eri una creatura abitudinaria che faceva sempre questa passeggiata in prima serata alla stessa ora durante l’estate e poi all’inizio del tramonto tra l’autunno e l’inverno. La facevi ogni singolo giorno, passavi un po’ di tempo a fissare l’acqua che scorreva.
Una volta ogni tanto facevi questa passeggiata con un’amica ed è stato attraverso lei che ho pianificato di conoscerti. Tu e la tua amica andavate entrambe in macchina fino al parcheggio e poi vi incontravate presso il bar in cima al parcheggio e al sentiero che si snodava lungo il bordo del fiume. Avevo notato come sempre arrivavi e partivi indipendentemente l’una dall’altra. Era come se la tua amicizia si basasse sul trovarsi nel contesto di questa passeggiata e nient’altro. Dopo aver visto questo rituale in molte occasioni ti vidi andar via in auto mentre la tua amica andò al bar. Questa fu la mia occasione. Prendendo una sciarpa uguale a quella che indossavi entrai nel bar e interruppi la tua amica mentre era in fila.
“Scusa,” sorrisi”, stavo camminando lungo il sentiero e alla tua amica è caduta la sciarpa, ce l’ho qui”.
“Oh grazie”, rispose la tua amica e sorridendo mi prese la sciarpa dalla mano.
“Non è un problema, ti è piaciuta la passeggiata?”, chiesi gentilmente.
“Sì, è un bel posto qui, vero?”
“Assolutamente e non importa quale sia il tempo o la stagione, c’è sempre qualcosa di diverso da vedere”, spiegai. Lei annuì e usando il mio solito incantesimo mi ritrovai seduto con l’amica a godermi una bevanda calda insieme. Fu nel corso di quel dialogo, una conversazione educata in un gelido pomeriggio d’autunno che appresi il tuo nome. Una volta armato di queste informazioni e ricordando gli altri frammenti della tua vita che la tua amica aveva citato con un riferimento innocente, ti ho rintracciato presto su Facebook.
Lì mi sono dedicato al tuo profilo, ammirando le tue fotografie e trovando più cose su di te. Passavo il tempo a controllare i film e i libri che ti erano piaciuti. Non erano molti, solo una mezza dozzina di ciascuna categoria e notai che Memorie di una Geisha era uno dei tuoi libri preferiti. Conoscevo questo libro e anche il suo autore. Mentre lavoravo tra le foto, vidi quelle del fiume dove stavi spesso e sotto a ciascuna di esse avevi pubblicato la stessa citazione che attribuivi a una persona che io sapevo essere l’autore di Memorie di una Geisha.
Poco tempo dopo vidi che stavi contemplando il fiume ancora una volta e questa volta mi sono avvicinato a te.
“Non rinunciare mai perché anche i fiumi un giorno laveranno via le dighe”, dissi. Ti voltasti e mi sorridesti.
“Arthur Golden”, rispondesti naturalmente riconoscendo la citazione e facendo riferimento all’autore di uno dei tuoi libri preferiti.
“Esatto”, sorrisi, “è questo il motivo per cui guardi questo fiume ogni giorno, per darti una speranza?”, chiesi.
Tu mi guardasti come se stessi valutando se ammettermi alla tua fiducia. Non impiegasti molto tempo per decidere.
“Assolutamente. Mi dà la speranza che guardando qualcosa di così naturale e bello come questo si possano lavare via certe cose”.
Sapevo dal modo in cui avevi risposto che c’era altro da dire ma ora non era il momento. Parlammo un po’ e poi ti lasciai alle tue contemplazioni. Dopo di che dicevi sempre ciao e stavamo a parlare e a poco a poco mi veniva dato l’accesso al tuo mondo. Da stare in quello stesso punto siamo passati a camminare lungo la riva del fiume mentre ci apprestavamo a conoscerci. Io avevo cura di camminare al tuo passo. Conoscevo i luoghi in cui ti piaceva fermarti per goderti il panorama, dato che ti avevo osservato farlo molte volte in passato. Come altri frammenti della tua vita che avevo appreso, avevo memorizzato questa cosa e l’avevo usata per stare con te a fare commenti elogiativi sul fiume, gli alberi e il modo in cui la luce colpiva la superficie dell’acqua.
Con cura, quale abile artigiano che sono, staccavo un pezzo della tua vita e l’aggiungevo alla mia mentre crescevo a sapere di più su di te. Parlavi del lavoro, della tua vita familiare e dei tuoi interessi. Notai che non incontravi mai la tua amica per una passeggiata sul lungofiume e sembrò di averla soppiantata come compagno sul fiume. Ogni volta che passeggiavamo, chiacchieravamo e poi prendevamo qualcosa da bere al bar mentre le mie conoscenze su di te aumentavano. Mi assicurai di dire le cose che sapevo avrebbero prodotto la migliore risposta da parte tua. Sapevo cosa dire per renderti interessata e attenta. Potevo dire, poiché avevo già visto uno sguardo simile prima, che il modo in cui mi guardavi significava più della semplice compagnia.
Poi, dopo forse due settimane, forse un po’ di più, mentre passeggiavamo lungo quella pacifica riva del fiume, allungai una mano e presi la tua mano nella mia. Non esitasti. Non vi fu resistenza e tu permettesti alla mia mano più grande di racchiudere la tua mentre facevi scivolare la tua mano nella mia. Il movimento venne naturale. Mi guardasti con un sorriso e vidi la luce brillare nei tuoi occhi mentre tu sentivi che la mia energia saliva da dentro. Non lasciasti andare la mia mano una sola volta durante quella passeggiata. In effetti divenne la tua firma. Il fatto che hai amavi sempre tenermi la mano.
Non importa dove eravamo, la prendesti e tenesti, anche facendo movimenti contorti per evitare di lasciarla andare. Era come se tu avessi giurato che ogni volta che mi prendevi la mano non l’avresti lasciata andare finché non l’avessi deciso io. Lo vidi come il segno dell’intenzione da parte tua di prenderti cura di me. Era un indicatore, il tuo modo di dirmi che non importa ciò che sarebbe successo, tu saresti stata sempre al mio fianco e pronta a prenderti cura di me.
Il prenderci per mano creò questo legame meraviglioso tra di noi. Sentivo il tuo amore e la tua ammirazione scorrere attraverso questa presa e tu in cambio dovevi assaporare il mio splendore. Era una connessione fantastica che era stata modellata alta nel cielo. Nel momento in cui le nostre dita si sono intrecciate, la connessione era stabilita e entrambi abbiamo ottenuto qualcosa da essa. Ecco perché ha funzionato. Questo è il motivo per cui noi abbiamo funzionato. Ecco perché io ti ho fatto funzionare in questo modo.
Ne ho approfittato appieno, ma poi, io penso che tu volessi che lo facessi vero? Questo è il motivo per cui mi hai sempre tenuto la mano finché non mi hai deluso. È bastata una volta e l’hai lasciata andare. Non avevi mai previsto di lasciarla andare.
Non l’hai mai fatto prima nonostante tutto quello che ho fatto, stavi sempre aggrappata. Mi hai sempre dato quella garanzia, ma poi me l’hai tolta. Mi sono reso conto che non avevi altra scelta che lasciarla andare ma in ogni caso mi hai deluso quando l’hai fatto. Non potrò mai perdonarti per quello. Mai.
A volte riesco ancora a sentire la tua stretta che scivola via dalla mia, le dita che sfuggono e poi.
Niente.
Il fulmine colpisce due volte.
Traduzione di PAOLA DE CARLI dal testo originale di H.G. TUDOR